[Nei giardini del Romanticismo] il punto di vista immobile sul giardino circostante l’osservatore viene sostituito da quello mobile dei sentieri tortuosi, dalle sorprese lungo le passeggiate, dalla tendenza a creare panorami inattesi, mutamenti evidenziati a seconda delle diverse stagioni, ore, condizioni atmosferiche e anche in relazione al vento. Il vento scuote i rami non potati, increspa e muove la superficie delle acque, frantuma il riflesso delle sponde nell’acqua, riecheggia del suono delle arpe eoliche, agita le bandiere e le vele delle imbarcazioni da diporto. Il parco romantico ridonda di movimento, ma ha anche un’altra peculiarità che lo distingue da giardini e parchi degli stili precedenti: se questi erano costituiti da oggetti la cui bellezza formale era essenziale, ora è lo spazio fra quegli stessi oggetti a diventare imprescindibile: i campi fra i boschetti, gli spazi che si aprono fra le rive dei fiumi e dei laghi, i viali e i sentieri che dischiudono all’occhio la vista di una valle; l’atmosfera, l’aria, gli spazi vuoti. Alberi e cespugli diventano cornici, inquadramenti, “sponde” per gli spazi che si aprono dinanzi a colui che passeggia. Spariscono le recinzioni, e il parco trapassa impercettibilmente nella contrada circostante.

Dmitrij Sergeevič Lichačëv, La poesia dei giardini, Einaudi, Torino, 1996

 

“La natura dispiega la sua magnificenza spesso senza scopo, [...]. Se l’utile fosse al primo posto in natura, le piante nutritive non dovrebbero avere più fascino delle rose, che sono solo belle? E perché allora per adornare gli altari della divinità si cercherebbero gli inutili fiori? Per il fatto che il bello ci porta a un’esistenza

immortale e divina il cui ricordo e rispetto convivono in noi”.

Eugène Delacroix, 1854